Fino a pochi anni fa l’atteggiamento della comunità scientifica e degli specialisti nei confronti delle possibilità di curare le demenze anche con terapie “riabilitative” non farmacologiche era sostanzialmente caratterizzato da scetticismo.
Sebbene la maggior parte delle demenze evolve in maniera progressiva, vi è una più diffusa consapevolezza che un approccio sistematico, intensivo, continuativo ed interdisciplinare, in cui trovino spazio interventi efficaci, rigorosi e documentato, possa indurre un sostanziale miglioramento della qualità della vita del paziente e della sua famiglia e, in molti casi, rallentare l’evoluzione del deficit cognitivo e l’impatto funzionale dello stesso (Bianchetti et al, 1997; DeKosky, 1997; Small et al, 1997).
Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per riabilitazione si intende quell’insieme di interventi che mirano allo sviluppo di una persona, allo sviluppo più alto del suo potenziale sotto il profilo fisico, psicologico, sociale, occupazionale ed educativo, in relazione al suo deficit fisiologico e/o anatomico e all’ambiente”.
In quest’ottica l’obiettivo della riabilitazione nelle demenze è quello di permettere alla persona di “vivere” al massimo delle sue capacità valorizzando le capacità residue e le sue potenzialità.
I trattamenti non farmacologici (TNF) comprendono diverse tipologie di intervento che possono essere rivolte sia alla persona con demenza, sia al caregiver formale ed informale (vedi sezione sostegno ai famigliari). Per quanto riguarda la persona con declino cognitivo, gli interventi possono essere indirizzati agli aspetti cognitivi, funzionali, comportamentali, psicologici, sociali, ed ambientali.
Gli interventi di riabilitazione cognitiva comprendono numerose tecniche, ciascuna delle quali ha elaborato modalità e protocolli specifici.
Alcuni di questi approcci riabilitativi come la stimolazione cognitiva sono focalizzati in modo specifico sui deficit cognitivi mentre altri, quali la Reality Orientation Therapy (ROT), la 3R (che integra ROT, Reminiscenza, e Rimotivazione) e la Validation Therapy affrontano anche le implicazioni affettive dei deficit cognitivi del paziente, in quanto è noto che lo stato emotivo del paziente ha un impatto rilevante sulla memoria, sulle funzioni cognitive in genere e sulla qualità di vita. Queste tecniche possono essere applicate sia individualmente sia in gruppo (il più omogenei possibile).
Sulla scorta delle conoscenze ormai acquisite, sappiamo che nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer, la memoria procedurale risulta risparmiata (Corkin et al., 1984; Schacter, 1985; Eslinger and Damasio, 1986; Heindel et al., 1989; Schacter, 1990; Keane et al., 1994; Hirono et al., 1997), pertanto sono state recentemente proposte tecniche di stimolazione più specifiche e più mirate rispetto alla ROT (Josephsson et al. 1993; Ermini-Funfschilling and Meier, 1995; Zanetti et al, 1997; Hirono et al., 1997), finalizzate a stimolare l’apprendimento procedurale motorio, sensoriale e cognitivo.
Il risparmio relativo dell’apprendimento implicito nel paziente con Alzheimer costituisce un valido supporto teorico per lo sviluppo di strategie e metodi riabilitativi ed avvicina l’approccio riabilitativo nelle demenze a quello dell’ictus cerebrale, del trama cranico e dell’afasia, malattie per le quali, da tempo, si dispone di strategie riabilitative strutturate e specifiche.
Innovativi corsi di stimolazione cognitiva MemoFit® sono stati costruiti proprio per soddisfare queste esigenze riabilitative e sono indirizzati a tutte le persone che riscontrano di avere qualche problema di memoria (disturbo soggettivo di memoria) o che hanno già ricevuto una diagnosi di iniziale declino cognitivo.
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